Città d’arte

Informazioni sulle Città d’arte di Caivano

1. L’affresco
L’affresco presenta figure tratte dalla mitologia classica che il restauro è riuscito a portare alla luce, svelando una serie di particolari interessanti.Sulla parete di sinistra è raffigurato Atlante che sorregge la volta celeste, mentre sulla parete di dx Perseo con la testa di Medusa. La storia dei due personaggi è raccontata da Ovidio la “Metamorfosi”. La leggenda, racconta che nella città di Argo regnava il Re Acrisio con la sua sposa Euridice e la loro figlia Danae; quando il re decise di consultare un oracolo per sapere il futuro della sua vita, nefasta fu la profezia. Apprese che non avrebbe avuto figli maschi e che un giorno sarebbe stato ucciso da suo nipote, il figlio di Danae. Il re spaventato da questa tremenda predizione, fece imprigionare la figlia, sperando che non fosse avvicinata da alcun uomo. Ma Zeus, invaghitosi di Danae, sottoforma di pioggia di gocce d’oro entro nella cella e concepì uno dei più grandi uomini dell’antichità: Perseo. Parecchie sono le opere raffiguranti Danae nel momento in cui si unisce a Zeus sottoforma di gocce di pioggia. Intanto Danae e Perseo riuscirono a scappare e con gli anni l’eroe crebbe forte e valoroso. La donna era oggetto dei desideri del re Polidette che cercava di convincerla a sposarlo; ma Danae, il cui unico pensiero era il figlio, non ricambiava il suo amore. Il re decise allora di allontanare Perseo dalla sua vita e lo convinse a portargli la testa della Gorgonia (Medusa). In realtà Polidette sperava che l’impresa fosse fatale per il giovane perché mai nessun mortale era riuscito nell’impresa. Narra la leggenda che Medusa, una delle tre Gorgoni, l’unica alla quale il fato non avesse concesso l’immortalità, era un tempo una tra le donne più belle. Invaghitasi di Poseidone, aveva fatto con lui l’amore nel tempio di Atena che, profondamente irritata dall’affronto subito, aveva trasformato la fanciulla in un orribile mostro dalle mani di bronzo, ali dorate e scaglie su tutto il corpo, denti simili a zanne di cinghiale, capelli trasformati in serpenti e al suo sguardo aveva dato la capacità di trasformare in pietra tutto ciò che la guardasse. L’impresa non era facile ma accorsero in aiuto Perseo, Atena ed Ermes che gli donarono uno scudo lucente, attraverso il quale guardasse riflessa la Gorgonia ed evitare così di essere pietrificato dallo sguardo, l’antica spada dei Titani con cui decapitarla poiché le sue squame erano più dure del ferro. Tali armi però non erano sufficienti per riuscire nell’impresa così i due gli suggerirono di farsi donare dalle Ninfe i calzari alati per volare veloce nel regno di Medusa, l’elmo di Ade che rendeva invisibile chi lo portasse ed una sacca magica nella quale riporre la testa di Medusa, una volta tagliata (infatti, i suoi poteri non sarebbero venuti meno con la morte ed i suoi occhi sarebbero stati in grado di pietrificare chiunque la guardasse). Così equipaggiato volò all’isola dove dimoravano le tre Gorgoni (Steno, Curiale e Medusa) che trovò addormentate. Forte dei consigli di Ermes e d’Atena si avvicinò a Medusa e camminando all’indietro e guardandola riflessa nello scudo lucente le tagliò la testa dal cui sangue copioso nacque Petaso, il magico cavallo alato, fedele compagno si Perseo. Approdò poi per riposare nella regione dell’Esperia, dove regnava il titano Atlante. Era questo molto sospettoso e diffidente nei confronti degli estranei in conseguenza di una profezia secondo la quale il suo regno sarebbe stato distrutto da uno dei figli di Zeus. Inavvertitamente Perseo (che non sapeva della profezia) gli rivelò la sua origine divina e all’apprenderla Atlante cercò di ucciderlo. Il giovane, sorpreso dalla sua reazione fu costretto a difendersi in una lotta impari contro il titano fino a che, aperta la bisaccia dove teneva la testa di Medusa, pose fine al combattimento perché Atlante cominciò a pietrificarsi trasformandosi in un’alta montagna. Racconta Ovidio nelle Metamorfosi (IV 650-622).
Ovidio ci narra quindi la leggenda che da Atlante prese origine il sistema montuoso omonimo e poiché era molto alto si affermò che Atlante reggesse sulle sue spalle la volta celeste. In realtà il mito di Atlante è narrato anche in un altro modo. Figlio del titano Giapeto e della ninfa Climene; fratello di Prometeo, combattè al fianco dei titani nella guerra contro le divinità dell’Olimpo. Per punizione fu condannato a reggere per sempre sulla schiena e sulle spalle la terra e l’intera volta celeste. Poiché Atlante era il padre delle Esperidi, le ninfe che custodivano l’albero delle mele d’oro, Eracle gli chiese di aiutarlo a realizzare una delle sue fatiche, che consisteva appunto nel procurarsi i famosi frutti, offrendo in cambio di sostenere il suo peso. Atlante accettò di buon grado, pensando di liberarsi per sempre di quel tremendo carico; ma quando ritornò con le mele Eracle gli chiese di riprendersi per un momento il fardello, per sistemare meglio il peso,. Atlante acconsentì ed Eracle fuggì con le mele. Nelle restanti parti l’affresco di più difficile lettura per il cattivo stato di conversazione e solo il restauro è riuscito a portare alla luce altri elementi interessanti. Infatti, sulle pareti est ed ovest, accanto ai personaggi mitologici appena citati, sono apparse le figure di aquile ornate da nastri ed elementi decorativi di forma geometrica, e, all’interno di cornici di forma rettangolare, la scritta latina “Quod modo tollit amor dat mihi sommus iners”, tradotta in italiano “Quello che l’amore toglie me lo dà il sonno che rende inerte”. Un motivo che ricorre su entrambe le pareti sopra descritte è quello delle aquile di colore nero di pregevole manifattura; l’aquila, il re degli uccelli, che vola verso il sole e il cui occhio resiste alla luce celeste, è un antichissimo simbolo della luce. Essa è associata a Zeus. Poi a Giove. Aroma diventa il simbolo dell’imperatore e, sulle insegne militari, l’immagine simbolica delle legioni vittoriose. Alla morte dell’imperatore si libera un’aquila che nel suo alto volo è segno di apoteosi. La chiesa protocristiana assunse dapprima un atteggiamento cauto nei confronti dell’immagine dell’aquila, dal momento che essa era segno del potere romano; poi con Costantino, quando le insegne imperiali furono trasposte sul Cristo, l’aquila fu correlata a questo “Signore dei Signori”, tendendo col tempo a diventare simbolo di Cristo. In araldica essa è riprodotta frontalmente, rappresentando il potere temporale: L’aquila con il serpente tra gli artigli fu il popolare emblema della sovranità degli Hohenstaufen; con la lepre abbattuta fu l’emblema particolare di Federico II. L’aquila bicipite, un antichissimo simbolo culturale, assurge per la prima volta a Bisanzio a simbolo di Stato. Poiché si credeva (secondo Aristotele) che quest’uccello volando in alto finisse il sole, fu considerato altresì simbolo della contemplazione e della conoscenza spirituale: Con riferimento a tali caratteristiche e a suo alto volo, divenne un attributo dell’evangelista Giovanni. Tra gli elementi della decorazione spiccano figure di frutta e verdura, aventi con ogni probabilità funzione di simboli epitalamici, composti da mele cotogne, melograni, cipolle, fichi, limoni, pere, pigne, che nel loro sorprendente alternarsi, sono da considerare come da elementi afrodisiaci. Simboli d’immortalità, prosperità e sessualità, nel mondo classico, la frutta ereditatali attributi anche nel cristianesimo, che ritroviamo qui pienamente espresse nell’articolata cornice vegetale. Infatti, le mele cotogne e i melograni si raccomandavano alle donne prima di fare l’amore, e servivano quindi a potenziare la loro fertilità e a dare fragranza alle labbra; in Grecia erano dedicate ad Afrodite, Dea dell’amore; nell’antica Roma le donne sposate da poco indossavano corone di rami di melograno. In Palestina era usata come paragone nei canti d’amore e la bevanda che se ne estraeva, leggermente alcolica, era cara agli innamorati. In India il succo di melagrana era ritenuto un rimedio contro la sterilità. Nella pittura veneziana del 500 troviamo esempi di mela cotonia offerta alle donne. L fonte in questo caso è Plutarco nei Coniugalia Precetta. Molto probabilmente sono state dipinte con un auspicio di fertilità in una prossima unione. La cipolla era considerato un potente rimedio contro le malefiche influenze lunari; il fico è anch’esso un simbolo di fertilità, vita, prosperità e pace; la pera indica buona salute e speranza; alla pigna è attribuito il segno della fertilità e, per via della forma della fiamma e del fallo, indica la forza creativa maschile e la buona fortuna; l’uva rimanda ancora alla fertilità, e, in quanto vino, simboleggia orgia e vigore giovanile; la castagna, simbolo della saggia previdenza ed infine il limone, che indica fedeltà in amore.
2. Il quadro storico
La parte più interessante dell’affresco è la parete sud con i due stemmi aqquartati posizionati ai lati del vano che accede sul balcone. Tale identificazione è stata raggiunta grazie ad una intensa ricerca eseguita insieme agli studi “HISTRICANUM” di Striano, il cui aiuto è risultato di fondamentale importanza. L’identificazione ci ha permesso di decifrare con più precisione il periodo in cui furono realizzati e di conseguenza il probabile committente dell’affresco. Lo stemma rappresentato sulla sinistra appartiene senza dubbio alla famiglia Gaetani, nella persona di Onorato II, feudatario di Caivano dal 1456, mentre quello sulla destra, di più difficile lettura causa anche il cattivo stato di conservazione, suggerisce un’unione matrimoniale di un membro della famiglia Gaetani. Dal Lanna senior sappiamo che il re Alfonso d’Aragona comprò il feudo da Arnaldo di Sans per una cifra stimata tra i sei e settemila ducati. Successivamente, il re Alfonso vendette il feudo di Caivano a Onorato II Gaetani, conte di Fondi, per la grossa somma di 9000 ducati. Questa famiglia trasse origine da Annecchino Goto, il quale nell’anno 773, fuggendo dalla Spagna, emigrò in Italia e si stabilì nella cosiddetta Campagna Felice. Giovanni suo discendente, potente capitano, fu nominato Patrizio; poi Giovanni divenne duca di Gaeta e con l’aiuto del Papa Giovanni X e di altri potenti signori scacciò i Saraceni nell’anno 915. Da questo Giovanni discesero un aserie di duchi di Gaeta che nella loro patria dissero Gaetani, nome che tramandarono ai loro discendenti. Vogliono però alcuni autori che questa casa avesse origini dalla famiglia romana Anicia, dalla quale nacquero anche le famiglie Frangipane, Pierleone, Aquino e la Casa Imperiale d’Austria. Godette nobiltà nella Spagna e nelle città di Napoli, Roma, Benevento, Messina, Siracusa, Palermo, Firenze, orvieto, Anagni, Sessa, Gaeta, Tricarico, Udine, Pisa, e in quest’ultima fu una delle quattro principali famiglie con la Gherardesca, la Sigismondi, e la Gambacorta. Da Pisa un ramo passò in Messina ai tempi di Guglielmo il Malo condotto da Guglielmo Gaetano. Questa famiglia ricevuta nell’Ordine di Malta nel 1416. Ottenne il grado di Grande di Spagna e fu insignita degli Ordini del Toson d’Oro e il Santo Stefano. Il ramo primogenito della casa dell’Aquila, conti di Fondi, si estinse in Giovanna che sposò Loffredo Gaetani, nipote del Papa Bonifacio VIII, passato alla storia per aver indetto il primo Giubileo, il quale aggiunse al suo quel cognome ed inquartò lo stemma di quella famiglia col proprio dopo il matrimonio avvenuto forse tra il 1299 e il 1300. Da questa unione nacque Nicolò Gaetani, Gran Carmelengo, e per successione materna, secondo Conte di Fondi e per successione paterna quarto Signor di Sermoneta. Da Nicolò Gaetani nacquero Onorato I e Giacomo; Onorato I sposò Caterina del Balzo, figlia di Betrando Signor di Berre in Francia, e dalla loro unione nacquero Cristofaro e Giacomo I. Da Cristofaro nacque Onorato II, mentre da Giacomo, discese Giacomo II, l’autore della scissione della famiglia Gaetani in due rami, quello di Sermoneta, che comprendeva tutti i territori del Lazio, e quello di Fondi, che comprendeva i territori della Campania, avvenuta nel 1418. Quindi i più grandi rappresentanti di tale casa furono di Papa Bonifacio VIII, Onorato I e Onorato II. Il conte Onorato I, investito di altri feudi nel Reame di Napoli e nello Stato Pontificio, acquistò un’autorità straordinaria; così che durante la residenza dei papi di Avignone ebbe il vicariato della Chiesa. Toltogli questo da papa Urbano V per istigazione della regina Giovanna I, diede il suo potente appoggio ai cardinali dissidenti convocandoli in Anagni e poi accogliendogli a Fondi, ponendo la tiaria pontificia sul capo di Roberto di Ginevra (l’antipapa Clemente VII) e ospitandolo per VII mesi (21 settembre 1378 – 25 aprile 1379) con la corte papale, presso la cinta delle mura sillane. Ebbe così origine lo Scisma d’Occidente che afflisse la Chiesa per 36 anni (1378-1414). Ma ancora più famoso del nonno fu Onorato II, logoteta e protonotario del Regno. La sua Signoria si estendeva su molti paesi specialmente della Terra di Lavoro e della Campagna. Fondi, Ponticelli (Monte S. Biagio), Lesola, Pastena, Campodimele, Sperlonga, Itri, Sonnino, Vallecorsa, S. Lorenzo (Amaseno), Ceccano, Pofi, Falvaterra, i castelli di Acquaviva, Ambrifi, e Campello in prossimità di Fondi, Maranola, Castellonorato, Spigno, le Fratte (Ausonia), Traetto, Castelforte Suio, Castelnuovo, Piedimonte (d’Alife), Morcone, S. Marco dei Cavoti, S. Giorgio la Molara, Caivano erano feudi dei Gaetani d’Aragona.

Accorto uomo politico, Onorato II fu tollerante con gli ebrei che esercitavano a Fondi come in altre città l’industria o l’arte dei panni. Intervenne all’incoronazione di papa Nicola V quale ambasciatore del re Alfonso I d’Aragona, con Guglielmo e Raimondo Moncada, Carlo Manforte conte di Campobasso, Marino Caracciolo, conte di S. Angelo. Ricevette nel 1452, nella città di Fondi, l’imperatore Federico III di Germania e la moglie Eleonora III. La base del suo successo fu sicuramente l’amicizia che ottenne dal re Alfonso d’Aragona, offrendogli sostegno economico e militare per le sue periodiche guerre. In cambio ne ottenne non soltanto il potere di essere il suo “pleno jure” in tutto il Regno e una quantità di diritti feudali ma anche l’altissimo omaggio di poter aggiungere al suo cognome l’appellativo della famiglia aragonese, chiamandosi da quel momento in poi Gaetani d’Aragona e di conseguenza aqquartare nello stemma la casa d’Aragona. Dotò edifici religiosi e laici dipinti, sculture e ornamenti, chiamando a lavorare i maggiori artisti che frequentavano all’epoca la corte di Napoli. Tale famiglia fu però macchiata da un episodio molto grave. Durante la congiura dei baroni avvenuta nel 1486, suo figlio Pietro Bernardino si schierò con i feudatari ribelli per eliminare la dinastia aragonese. A tale congiura aderirono il duca di Salerno, Antonello Petrucci, segretario particolare del re e, in un primo momento, anche il papa Innocenzo III in discordia con Ferdinando. La congiura fallì e il re simulando il perdono, durante un convito nuziale fece imprigionare e decapitare i più compromessi della congiura. Onorato II invece si era schierato dalla parte del re, e rimase così sdegnato dal comportamento del figlio che lo fece imprigionare e punire. Quest’atto di fedeltà fu molto gradito da Ferdinando I d’Aragona, il quale ordinò che suo nipote, figlio del ribelle Pietro Berardino, sposasse sua nipote Sancia, figlia naturale di Alfonso, duca di Calabria. Tale nipote fu quindi duca di Traetto, Principe di Altamura, Conte di Fondi, Signore di Piedimonte, Consigliere e Presidente nel S.R.C. e Gran Carmelengo. Servì Carlo V nella presa di Milano con mille cavalli e lo accompagnò più volte a Madrid. Nel 1491 Onorato II muore e la sua eredità passo ai nipoti e per la precisione il feudo di Caivano passò a Giacomo Maria Gaetani sebbene per pochi anni. Infatti, durante la guerra tra francesi e spagnoli, i Gaetani si schierarono nel partito francese e nel 1504 il re Ferdinando IV li dichiarò ribelli e tolse loro i feudi. Quello di Caivano fu dato al condottiero spagnolo don Prospero Colonna, che diventerà il primo viceré di Napoli, per conto della corona spagnola, quando Carlo V diventerà imperatore. Con la pace tra Francia e Spagna del 1506, Giacomo Maria fu perdonato e potè riacquistare il suo feudo, ma non gli durò molto perché nel 1528 egli venne di nuovo dichiarato ribelle e privato ancora una volta del feudo, il quale probabilmente tornò alla famiglia Colonna. Quando Giacomo Maria venne perdonato una seconda volta, il feudo non potè tornare nelle sue mani perché era stato venduto. Nel 1535 Emilia della Caprona ebbe difficoltà finanziaria a causa di una debito di 6.600 ducati, e vendette il feudo a Emanuele Malusino per 7.200 ducati, sempre col patto retrovertendo. A questo punto si fa viva Costanza Pignatelli che rivendica i patto a suo favore, Giacomo Maria Gaetani, era stato perdonato da Carlo V, ed ella libera di ridiventare feudataria di Caivano come moglie del primitivo proprietario. Forse Giacomo Maria era morto nel frattempo perché di tutte queste faccende appare interessarsi la moglie senza che lui sia presente ad atti. Nel 1541 la figlia di Costanzo e di Giacomo Maria, Geronima Gaetani sposa don Baldassarre Acquaviva e nell’occasione nuziale ebbe in dote il feudo di Caivano che era ancora nelle mani di Emanuele Malusino. Dunque, il feudo verrà riscattato poco dopo da don Baldassarre Acquaviva a nome della moglie. I Quinternioni registrano nell’anno 1543 un compromesso per la vendita del feudo di Caivano tra Baldassarre Aquaviva e Scipione Carafa e la vendita avviene nel 1550 per 13.000 ducati pagati da Scipione. Da questo momento in poi i Gaetani cessarono di essere feudatari di Caivano. Ne consegue con l’ipotesi sulla datazione dell’affresco debbano racchiudersi in un lasso di tempo che va dal 1510 al 1550, per questo lo stemma sulla destra dovrebbe essere appartenuto o a Giacomo Maria Gaetani che sposò Costanza Pignatelli intorno al 1510 oppure a Geronima Gaetani figlia di Giacomo Maria e Costanza Pignatelli che sposa don Baldassarre Acquaviva, negli anni 20- 30 del 500.


3. Stemma della famiglia Gaetani
Da Scipione Mazzella, “Descritione del Regno di Napoli” Napoli, 1601, pag 692: “Arma partita: nel primo gran partito controinquartato al primo e al secondo d’oro e quattro pali di rosso (Regno d’Aragona); al secondo e al terzo interzato e al primo fasciato di otto d’argento e di rosso (Ungheria) al secondo di azzurro seminato di fiordalisi (gigli) d’oro (Regno di Napoli, Casa d’Angiò) al terzo d’argento alla croce potenziata e ricrocettata d’oro (Regno di Gerusalemme). Al secondo gran partito inquartato al primo e al quarto d’oro alla gemella ondata d’azzurro (Casa Gaetani) al secondo e al terzo d’azzurro all’0aquila spiegata d’argento clonata d’oro (Casa Feudataria dell’Aquila) ”.

Pagina aggiornata il 30/07/2024

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